Fideus
2004-10-12 17:04:00 UTC
Corriere della Sera. 28 dicembre 2003
Guernica, la verità dietro la leggenda
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di Vittorio Messori
Come ogni italiano consapevole, ho gratitudine per il lavoro ormai più che
secolare del Touring Club. Gratitudine unita a stima, per la cura e il
rigore delle sue pubblicazioni. Ma persino i migliori hanno le loro sviste.
Così, di recente, il Touring ha allegato una guida di Madrid a un
settimanale di larga diffusione. Due pagine intere sono dedicate alla grande
tela esposta al museo Regina Sofia, al quadro probabilmente più celebre del
XX secolo, davanti al quale sfila una colonna continua che si direbbe non di
turisti bensì di pellegrini reverenti. Ma sì, il Guernica di Pablo Picasso.
I due che firmano il testo della guida Touring ripetono le cose che stanno
in tutti - o quasi - i libri di storia. Sacra ai Baschi, la piccola Guernica
«viveva - ci dicono - senza particolare apprensione lo svolgimento della
guerra civile, dal momento che la sua importanza strategica era praticamente
insignificante». Ma il 26 aprile del 1937, nugoli di aerei della Luftwaffe,
quelli della Legione Condor in appoggio a Franco, «scatenarono su quel
centro privo di difese uno spaventoso bombardamento. Per tre ore infuriò la
tempesta di fuoco e dalle macerie vennero estratti i corpi senza vita di
1650 persone, mentre 800 furono i feriti. Era la prima volta nella storia
che piloti di aerei da combattimento colpivano civili inermi».
Non c'è da infierire contro i redattori del glorioso Club: quella che
espongono non è che la vulgata corrente ripetuta infinite volte, senza
varianti e senza verifiche. Per quanto mi riguarda, già anni fa, sul
quotidiano cattolico, avevo tentato di incrinare il conformismo, mostrando
che le cose, a Guernica, si erano svolte in modo assai diverso.
Quell'articolo, raccolto poi in un libro, aveva scatenato reazioni irose.
Molti, tra l'altro, avevano trovato irriverente il fatto che ricordassi
quanto sostengono alcuni. Il celeberrimo quadro di Picasso, cioè, sarebbe
nato come Lamento en muerte del torero Joselito : appassionato di corride,
colpito dalla morte di un suo beniamino, il pittore di Malaga aveva
cominciato a dipingerne la fine nell'arena, quando il governo
social-comunista spagnolo gli offrì 300.000 pesetas (provenienti da Stalin
attraverso il Comintern) per un'opera da esporre a Parigi. La tela sarebbe
stata quindi modificata per adattarla alla lucrosa commissione, dandole il
nuovo nome di Guernica : restarono, però, i tori e il cavallo del picadòr
che, ferito, nitrisce verso il cielo.
Ma, al di là dei pettegolezzi artistici, la verità sul bombardamento della
cittadina basca è ormai accertata, eppure non riesce a superare le barriere
ideologiche. È curioso, tra l'altro, che, dopo la pubblicazione del mio
articolo, ricevessi la lettera commossa di un anziano: giovanissimo pilota
italiano, quel lontano pomeriggio di aprile era nel cielo di Guernica ed era
grato che qualcuno, finalmente, avesse tentato di andare oltre tante
inesattezze se non menzogne. Come sia andata davvero è ricostruito, con
rigore di documentazione, anche in quello che è stato il maggior bestseller
del 2003 in Spagna. In un imponente volume di 600 pagine, dal titolo Los
mitos de la Guerra Civil - e che ha avuto in pochi mesi più di venti
edizioni - lo storico Pio Moa, già militante nel Partito comunista spagnolo
e poi addirittura membro del Grapo, il gruppo terroristico, ha demolito
molte leggende. E lo ha fatto con spirito bipartisan , non lesinando colpi
sia ai franchisti che agli antifranchisti. Per quanto riguarda el mito de
Guernica , si dimentica sempre che l'azione fu condotta in buona misura
dall'Aviazione Legionaria italiana che aveva in volo, quel giorno, tre
moderni trimotori S79 e 15 caccia CR32, mentre la Legione Condor intervenne
più tardi e con pochi Junker di vecchio tipo, certamente inferiori ai
bombardieri che i russi impiegavano sulle città franchiste senza risparmio.
Se, in tutte le rievocazioni, non si parla che dei tedeschi, fu perché la
leggenda è in gran parte opera delle corrispondenze fantasiose di un inviato
inglese, George L. Steer, che, volendo spronare il suo Paese al riarmo,
inventò una potenza terrificante della Luftwaffe, favoleggiando anche di
nuovi esplosivi sperimentati dai tedeschi. In realtà, su Guernica furono
lanciate, da italiani e tedeschi, bombe «normali» e l'obiettivo principale
non era l'abitato ma il ponte di Renterìa, sul fiume Oca. È falso, infatti,
che la città - ormai a soli 20 chilometri dal fronte - non fosse un
importante obiettivo strategico: ospitava due fabbriche d'armi e vi erano
concentrati tre battaglioni, con 2.000 soldati «repubblicani» e imponenti
depositi di artiglieria. Una menzogna inventata da Steer (ed entrata poi in
tutti i libri di presunta storia) è che si sia fatta strage di contadini
perché, come ogni lunedì, era in corso il tradizionale mercato. In realtà,
proprio perché la città era ormai immediata retrovia, il mercato era stato
sospeso: in ogni caso, i primi aerei italiani apparvero dopo le 16,30 (e il
mercato finiva a mezzogiorno) e il passaggio degli Junker germanici avvenne
solo due ore dopo. Commissioni internazionali di inchiesta hanno addirittura
disegnato la mappa dei crateri delle bombe, confermando che poche caddero
sulle case e le altre attorno al ponte. Tutti i testimoni concordano che, al
termine del bombardamento (non ci furono mitragliamenti sui civili, come si
favoleggia) Guernica era in piedi e solo il 10 per cento delle case era
danneggiato. Alcune di quelle case, però, bruciavano: il ritardo nell'arrivo
dei pompieri da Bilbao, il fatto che l'architettura tradizionale fosse in
legno, un forte vento, favorirono un incendio che portò al rogo del 70 per
cento della città. Gli stessi abitanti inveirono contro i soldati dell'esercito
«rosso» che si segnalarono per inerzia. Anche i pompieri se ne tornarono
presto in città, col pretesto che era ormai inutile affaticarsi e che
avevano altro da fare.
Quanto ai morti: proprio il giorno prima l'aviazione italiana aveva
bombardato la vicina città di Durango, facendo quasi 200 morti (e ne farà
migliaia nelle incursioni dell'anno seguente su Barcellona e migliaia ne
fecero i «rossi» su Saragozza). A Guernica, non solo Pio Moa ma molti
storici prima di lui hanno indagato in ogni modo, sottoponendo a verifica
tutte le cifre. È ormai sicuro, e confermato dai registri comunali, che la
somma totale è di 102 deceduti (molti dei quali militari), di 120 al massimo
secondo altri, e i feriti furono solo 30. Siamo, dunque, a cifre almeno 14
volte minori dei 1650 deceduti e degli 800 feriti della vulgata ripetuta dal
Touring Club, come da tutti, in tutto il mondo. Nota Moa che «è
impressionante vedere come di un evento di certo doloroso ma niente affatto
straordinario in una guerra che fece quasi un milione di morti, si sia
riusciti a fare uno dei miti internazionali più intensi e impenetrabili alla
critica». In quei tre anni terribili, infiniti altri episodi furono ben più
tragici, ma a Guernica la propaganda, unita all'indubbio talento di Picasso,
riuscì in un capolavoro che non ha ancora esaurito il suo vigore.
Guernica, la verità dietro la leggenda
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di Vittorio Messori
Come ogni italiano consapevole, ho gratitudine per il lavoro ormai più che
secolare del Touring Club. Gratitudine unita a stima, per la cura e il
rigore delle sue pubblicazioni. Ma persino i migliori hanno le loro sviste.
Così, di recente, il Touring ha allegato una guida di Madrid a un
settimanale di larga diffusione. Due pagine intere sono dedicate alla grande
tela esposta al museo Regina Sofia, al quadro probabilmente più celebre del
XX secolo, davanti al quale sfila una colonna continua che si direbbe non di
turisti bensì di pellegrini reverenti. Ma sì, il Guernica di Pablo Picasso.
I due che firmano il testo della guida Touring ripetono le cose che stanno
in tutti - o quasi - i libri di storia. Sacra ai Baschi, la piccola Guernica
«viveva - ci dicono - senza particolare apprensione lo svolgimento della
guerra civile, dal momento che la sua importanza strategica era praticamente
insignificante». Ma il 26 aprile del 1937, nugoli di aerei della Luftwaffe,
quelli della Legione Condor in appoggio a Franco, «scatenarono su quel
centro privo di difese uno spaventoso bombardamento. Per tre ore infuriò la
tempesta di fuoco e dalle macerie vennero estratti i corpi senza vita di
1650 persone, mentre 800 furono i feriti. Era la prima volta nella storia
che piloti di aerei da combattimento colpivano civili inermi».
Non c'è da infierire contro i redattori del glorioso Club: quella che
espongono non è che la vulgata corrente ripetuta infinite volte, senza
varianti e senza verifiche. Per quanto mi riguarda, già anni fa, sul
quotidiano cattolico, avevo tentato di incrinare il conformismo, mostrando
che le cose, a Guernica, si erano svolte in modo assai diverso.
Quell'articolo, raccolto poi in un libro, aveva scatenato reazioni irose.
Molti, tra l'altro, avevano trovato irriverente il fatto che ricordassi
quanto sostengono alcuni. Il celeberrimo quadro di Picasso, cioè, sarebbe
nato come Lamento en muerte del torero Joselito : appassionato di corride,
colpito dalla morte di un suo beniamino, il pittore di Malaga aveva
cominciato a dipingerne la fine nell'arena, quando il governo
social-comunista spagnolo gli offrì 300.000 pesetas (provenienti da Stalin
attraverso il Comintern) per un'opera da esporre a Parigi. La tela sarebbe
stata quindi modificata per adattarla alla lucrosa commissione, dandole il
nuovo nome di Guernica : restarono, però, i tori e il cavallo del picadòr
che, ferito, nitrisce verso il cielo.
Ma, al di là dei pettegolezzi artistici, la verità sul bombardamento della
cittadina basca è ormai accertata, eppure non riesce a superare le barriere
ideologiche. È curioso, tra l'altro, che, dopo la pubblicazione del mio
articolo, ricevessi la lettera commossa di un anziano: giovanissimo pilota
italiano, quel lontano pomeriggio di aprile era nel cielo di Guernica ed era
grato che qualcuno, finalmente, avesse tentato di andare oltre tante
inesattezze se non menzogne. Come sia andata davvero è ricostruito, con
rigore di documentazione, anche in quello che è stato il maggior bestseller
del 2003 in Spagna. In un imponente volume di 600 pagine, dal titolo Los
mitos de la Guerra Civil - e che ha avuto in pochi mesi più di venti
edizioni - lo storico Pio Moa, già militante nel Partito comunista spagnolo
e poi addirittura membro del Grapo, il gruppo terroristico, ha demolito
molte leggende. E lo ha fatto con spirito bipartisan , non lesinando colpi
sia ai franchisti che agli antifranchisti. Per quanto riguarda el mito de
Guernica , si dimentica sempre che l'azione fu condotta in buona misura
dall'Aviazione Legionaria italiana che aveva in volo, quel giorno, tre
moderni trimotori S79 e 15 caccia CR32, mentre la Legione Condor intervenne
più tardi e con pochi Junker di vecchio tipo, certamente inferiori ai
bombardieri che i russi impiegavano sulle città franchiste senza risparmio.
Se, in tutte le rievocazioni, non si parla che dei tedeschi, fu perché la
leggenda è in gran parte opera delle corrispondenze fantasiose di un inviato
inglese, George L. Steer, che, volendo spronare il suo Paese al riarmo,
inventò una potenza terrificante della Luftwaffe, favoleggiando anche di
nuovi esplosivi sperimentati dai tedeschi. In realtà, su Guernica furono
lanciate, da italiani e tedeschi, bombe «normali» e l'obiettivo principale
non era l'abitato ma il ponte di Renterìa, sul fiume Oca. È falso, infatti,
che la città - ormai a soli 20 chilometri dal fronte - non fosse un
importante obiettivo strategico: ospitava due fabbriche d'armi e vi erano
concentrati tre battaglioni, con 2.000 soldati «repubblicani» e imponenti
depositi di artiglieria. Una menzogna inventata da Steer (ed entrata poi in
tutti i libri di presunta storia) è che si sia fatta strage di contadini
perché, come ogni lunedì, era in corso il tradizionale mercato. In realtà,
proprio perché la città era ormai immediata retrovia, il mercato era stato
sospeso: in ogni caso, i primi aerei italiani apparvero dopo le 16,30 (e il
mercato finiva a mezzogiorno) e il passaggio degli Junker germanici avvenne
solo due ore dopo. Commissioni internazionali di inchiesta hanno addirittura
disegnato la mappa dei crateri delle bombe, confermando che poche caddero
sulle case e le altre attorno al ponte. Tutti i testimoni concordano che, al
termine del bombardamento (non ci furono mitragliamenti sui civili, come si
favoleggia) Guernica era in piedi e solo il 10 per cento delle case era
danneggiato. Alcune di quelle case, però, bruciavano: il ritardo nell'arrivo
dei pompieri da Bilbao, il fatto che l'architettura tradizionale fosse in
legno, un forte vento, favorirono un incendio che portò al rogo del 70 per
cento della città. Gli stessi abitanti inveirono contro i soldati dell'esercito
«rosso» che si segnalarono per inerzia. Anche i pompieri se ne tornarono
presto in città, col pretesto che era ormai inutile affaticarsi e che
avevano altro da fare.
Quanto ai morti: proprio il giorno prima l'aviazione italiana aveva
bombardato la vicina città di Durango, facendo quasi 200 morti (e ne farà
migliaia nelle incursioni dell'anno seguente su Barcellona e migliaia ne
fecero i «rossi» su Saragozza). A Guernica, non solo Pio Moa ma molti
storici prima di lui hanno indagato in ogni modo, sottoponendo a verifica
tutte le cifre. È ormai sicuro, e confermato dai registri comunali, che la
somma totale è di 102 deceduti (molti dei quali militari), di 120 al massimo
secondo altri, e i feriti furono solo 30. Siamo, dunque, a cifre almeno 14
volte minori dei 1650 deceduti e degli 800 feriti della vulgata ripetuta dal
Touring Club, come da tutti, in tutto il mondo. Nota Moa che «è
impressionante vedere come di un evento di certo doloroso ma niente affatto
straordinario in una guerra che fece quasi un milione di morti, si sia
riusciti a fare uno dei miti internazionali più intensi e impenetrabili alla
critica». In quei tre anni terribili, infiniti altri episodi furono ben più
tragici, ma a Guernica la propaganda, unita all'indubbio talento di Picasso,
riuscì in un capolavoro che non ha ancora esaurito il suo vigore.